Un saluto.
Questa volta vorrei parlarti di un tipo di chitarra usata dai musicisti zingari delle tribù Manouche.
I gitani di questa etnia sono stanziati in buona parte tra l’Alsazia e il centro Europa.
Innanzitutto diamo uno sguardo alla storia che lega questo popolo alla chitarra.
L’archetipo della loro Musica è stato il grande impareggiabile chitarrista Django Reinhardt.
Suonatore di Banjo, una notte fu vittima di un incendio causato da uno scoppio di petardi che mandò a fuoco il carrozzone in cui viveva.
In seguito a questo incidente, perse l’uso dell’anulare e del mignolo della mano sinistra.
Lasciò il suo strumento e decise di intraprendere lo studio della chitarra inventandosi una tecnica empirica imperniata sulle due prime dita.
All’inizio usava una classica con le corde in ferro un po’ come i posteggiatori napoletani.
In seguito prese a suonare delle chitarre costruite da un liutaio italiano: Mario Maccaferri.
Questo brillante artigiano e musicista, le ideò e fabbricò per conto della Selmer di Parigi.
La chitarra Manouche, unica nel suo genere, è un ibrido tra una classica e una acustica molto particolare.
Sulla cassa c’è una buca grande che attraversa il raggio delle corde a forma di D stilizzata.
In realtà c’è un altro modello con la buca piccola in forma ovale realizzata in un secondo momento dopo la fuoriuscita di Maccaferri dalla Selmer, sembra per un contenzioso sui diritti d’autore sul disegno da parte del liutaio.
Un’altra caratteristica di questa chitarra è la spalla mancante con il taglio perpendicolare rispetto all’asse mediano dello strumento.
La tastiera è di 24 tasti.
La misura della cassa è più corta e larga rispetto a quelle standard di una comune chitarra.
Il suono è molto particolare: inscatolato vicino al Banjo e si suona con il plettro.
In realtà c’è un plettro proprio per la chitarra Manouche, molto rigido e grande.
I Musicisti, per ottenere più volume, usano non appoggiare la mano destra sul battipenna e lasciano scendere la mano libera tenendo sciolto il polso in modo da colpire la corda come un tamburo.
Le corde si chiamano Argentine e oggi sono prodotte da più marchi come Savarez, Daddario ecc.
Sono in metallo e la scalatura può essere partendo dal Mi cantino: .011, .015, .023, .029, .037, .046.
(articolo scritto da Davide De Rosa).
Sono passati molti anni da quando in un negozio di strumenti musicali ascoltai per la prima volta DJANGO REINHARDT, e non potevo credere al fatto che suonasse in quel modo con una cosi’ grave mutilazione dovuta ad un disgraziatissimo incidente.
Ho iniziato ad appassionarmi e seguire di più quel genere, chiaramente senza arrivare a quella che io ritengo una esagerazione da parte dei suoi fans più estremisti, che arrivano a legarsi l’anulare ed il mgnolo con degli elastici pur di suonare come lui.
Con il passare degli anni, cambiano tante cose, anche i gusti musicali, ma l’ammirazione per il grande maestro è sempre la stessa anche se, rimanendo in tema, ascolto di più BIRELI LAGRENE.
Un cordiale saluto a tutti.
Si, ha vissuto una lunga vita.
Si dice che oltre al liutaio e al musicista fosse anche un inventore di oggetti in plastica.
Fabbricò molti strumenti con questo materiale ma sembra non ebbero successo tra i musicisti.
Mi pare che le mollette da bucato in plastica siano una sua invenzione.
IO HO STUDIATO CHITARRA CON PIETRO BATTELLI, DI CENTO DI FERRARA, E LUI MI PARLO’ DI MACCAFERRI, CHE AVEVA STUDIATO CHITARRA E LIUTERIA CON MOZZANI.
MACCAFERRI, QUANDO POTEVA, VISITAVA MOZZANI, DOPO TUTTO, DOVEVA MOLTO AL MAESTRO.
QUANDO LASCIO’ SELMER, MACCAFERRI DISSE CHE AVREBBE CONTINUATO A FARE CHITARRE E ANCE PER FAR DISPETTO A SELMER, E COSI’ FU, PERCHE’ DURANTE LA GUERRA ERA MACCAFERRI CHE RIFORNIVA DI ANCE L’EUROPA.
MOLTI ANNI FA IL MENSILE “GUITAR PLAYER” INTERVISTO’ MACCAFERRI, CHE VIVEVA IN CALIFORNIA, DOVE MORI’ OLTRE NOVANTENNE.