Ciao,
oggi vorrei parlare della chitarra Selmer Maccaferri.
“Questa invenzione si applica a chitarre, mandolini, violini” (Mario Maccaferri)
“Cos’è una scala?” (Django Reinhardt)
Agli inizi del ‘900 la chitarra con le corde in budello si suonava un po’ ovunque.
Prendeva forme e dimensioni dalle idee originali di Antonio Torres, ed aveva soddisfatto due o tre generazioni di musicisti.
Ma quel suono caldo e pacato, ideale per i salotti e i cortili cominciò a diventare troppo debole con il passar degli anni.
Tanto che, per far fronte alle richieste di una musica sempre più rumorosa, attorno al 1910 si iniziarono a montare le prime corde in metallo.
Col trascorrere degli anni le chitarre iniziarono a ingrossarsi, il manico scivolò nella sua attaccatura al 14° tasto, comparve la cutaway, ed entro il 1930 i manici vennero rinforzati con barre di metallo.
Ma ancora non bastava.
Negli anni ’30 lo swing era alla moda, la musica si suonava più forte che mai e la chitarra ancora non si sentiva.
Si poteva udire nelle trame ritmiche, se suonata forte, ad accordi e con plettri grossi.
Di assoli neanche a parlarne.
E chitarre dal suono potente ancora non ce n’erano in giro.
Era lo stesso problema che aveva fatto perdere i sonni ad un musicista di Cento: Mario Maccaferri.
Un ottimo concertista classico, il bolognese: tour europeo nel 1923, docente presso l’Accademia musicale senese dal 1926, paragonato dai molti critici del tempo al grande Segovia.
Ma anche ottimo liutaio.
Aveva appreso i rudimenti da Andrea Mozzani, ed aveva perseverato in quest’arte fino ad aprire un suo laboratorio di liuteria a Cento, nel 1923.
Fino alla sua chiusura nel 1929 furono costruiti 80 strumenti tra mandolini, chitarre e violini.
Mario Maccaferri era uno spirito inquieto, creativo e geniale.
L’idea di uno strumento potente, dalla voce chiara e capace di arrivare fino alle ultime file della platea gli ronzò per la testa per un po’ di anni, fino a che nel 1930 ne parlò con il proprietario di un negozio in Moor Street a Londra.
Il negoziante fu interessato alla cosa, e consigliò Maccaferri di esporre i suoi progetti alla fabbrica di strumenti musicali Selmer, a Mantes-la-Ville, fuori Parigi.
Nell’ aprile del 1931 Maccaferri riuscì ad avere un incontro con Henry Selmer, il presidente di una compagnia che costruiva ogni anno decine di clarinetti, flauti, oboi e sassofoni diretti ad ogni angolo d’Europa e d’America.
E gli propose la sua idea.
Una chitarra completamente innovativa, dal suono potente e squillante.
Era convinto che il corpo del musicista, appoggiandosi sullo strumento, ne assorbiva le vibrazioni riducendone il volume di emissione.
La soluzione era quindi quella di costruire una chitarra dentro la chitarra, ovvero di mettere una scatola che vibrasse liberamente dentro a un involucro esterno, la chitarra stessa.
Il risonatore, questa scatola di legno dentro il corpo dello strumento, non era l’unica novità.
Ce n’erano molte altre.
La tavola armonica doveva essere piegata dietro il ponte, esattamente come nei mandolini: questo avrebbe permesso un emissione più rotonda e forte.
Il ponte sarebbe stato appoggiato, e non incollato, perché il movimento della tavola sarebbe stato oscillatorio e non longitudinale: maggior massa d’aria spostata, suono più forte.
L’incatenatura avrebbe avuto cinque catene parallele trasversali e due zoccoli di rinforzo sotto il ponte.
Un tavola armonica piuttosto stabile quindi, divisa a compartimenti e capace di restituire le fondamentali.
Fondi e fasce a triplice strato: palissandro, pioppo e mogano.
Resistenza e proiezione massime.
Le meccaniche sarebbero state prodotte all’interno della stessa fabbrica: il disegno e le capsule che coprivano l’ingranaggio sarebbero state una novità assoluta.
Anche la cordiera sarebbe stata realizzata in loco, con incisa nell’ottone la S di Selmer.
E anche il logo sulla paletta, realizzato a pantografo, avrebbe riportato il nome di Selmer.
Henri Selmer accettò.
E senza nemmeno aver visto una copia dello strumento: gli entusiasmi dell’italiano e un paio di calcoli gli erano bastati.
In effetti, le intuizioni di Maccaferri erano state elaborate con scrupolo ed entusiasmo, ma erano rimaste solo intuizioni fino al 1932, anno in cui la Selmer produsse la prima chitarra, modello concerto.
Fu quella la prima volta che Mario Maccaferri vide realizzata in legno e corde lo strumento dei suoi sogni.
Le vendite del modello concerto però furono piuttosto deludenti.
Il risonatore interno non solo non rendeva lo strumento più potente, ma ne attenuava addirittura le sonorità.
Fortunatamente però il modello Orchestre, che montava corde in metallo, andò piuttosto bene.
Non tanto in Inghilterra, quanto in Francia.
Cominciava ad essere apprezzato quel suono malinconico e secco, mantenuto a svolazzare sul clang clang dell’accompagnamento.
Piaceva nelle sale da ballo, piaceva nelle strade, nei locali notturni.
E di li a poco sarebbe piaciuta anche al grande Django Reinhardt: la voce a sei corde per la musica del momento.
Già l’anno dopo, nel 1933, Mario Maccaferri aveva interrotto il rapporto con la Selmer per alcuni dettagli di contratto.
E poi doveva girare un ruolo minore sul set del film “Le lac aux dames” del regista Marc Alliport.
Purtroppo, tra una ripresa e l’altra, alleviando la calura di agosto in piscina, durante un tuffo si scontrò con un altro tuffatore e riportò la frattura del polso.
Per questo motivo Maccaferri non comparve poi nel film.
Il seguito della vita di Mario Maccaferri fu un dipanarsi tra concerti suonati bendato con tre strumenti, l’invenzione della lancia isovibrante, il successo imprenditoriale, la fuga in America dalla guerra, l’endorsement di Benny Goodman e l’invenzione delle ance in plastica, e anche delle chitarre in plastica per bambini al prezzo di 2.98$.
Dal 1933 la produzione della Selmer Maccaferri continuò anche senza il suo inventore.
I liutai continuarono il lavoro iniziato da Maccaferri, e ne migliorarono alcuni aspetti, ad esempio togliendo il risonatore, dotando lo strumento di 14 tasti liberi e di una buca ovale piccola.
In breve a questi strumenti si interessò anche Django Reinhardt, che trovò così la chitarra adatta alla musica che andava sviluppando.
La produzione finì nel 1952: la Selmer tolse la chitarre di Maccaferri, per incrementare i sassofoni.
La musica era cambiata di nuovo, e lo swing se ne stava andando piano piano in soffitta.
Django Reinhardt morì nel 1953.
A metà degli anni ’70 la Ibanez volle produrre copie delle ormai storiche “Selmer-Maccaferri”, puntando ad un prezzo contenuto e grossi numeri di vendite.
Venne proposto a Mario Maccaferri di mettere il suo nome nel cartiglio insieme a quello della casa produttrice.
Lui accettò, ma poi ne vide da vicino i prototipi e chiese di annullare il contratto e di togliere il suo nome.
Mario Maccaferri non incontrò mai Django Reinhardt.
(articolo scritto da Luca Milani)
Grazie Luca per questo articolo veramente interessante.
Mi piacerebbe avere un consiglio da te, o da chiunque frequenti questo sito, sull’acquisto di una buona chitarra con buca piccola. Sapreste indicarmi un buon liutaio oppure una casa di produzione che costruisce modelli Selmer Maccaferri?
Ciao Daniele,
personalmente non ne conosco, ma posto il tuo commento cosi’ magari trovi delle informazioni utili da qualche altro utente.
Puoi sempre provare a contattare Luca Milani in persona (trovi il link al suo sito in fondo a questo articolo).
Ciao
Barbara
io ho una maccaferri tutta di plastica bianca…
in realtà Mozzani (si chiamava Luigi! Mozzani) è stato il liutaio e musicista nel cui laboratorio si formò Maccaferri.
Già nel 1910 pare producesse chitarre con corde metalliche con disegno tipo Guadagnini, forma ad 8 accentuato e fasce molto basse, fondo realizzato con un’unica tavola e fortemente incurvato nella sua sezione laterale.
Ne possiedo una, ha un suono preciso con bassi insospettabili per la dimensione dello strumento.
Grazie Davide 🙂
Grazie Luca del tuo contributo, conoscevo già le Maccaferri e la loro storia in particolare l’accoppiata con il grande Django, ma ho avuto il piacere di scoprire molti aspetti a me sconosciuti relativi al suo costruttore ed alle vere origini.
Oggi come oggi naturalmente non ci sono più i presupposti che spinsero allora Mario Maccaferri a realizzare uno strumento simile, essendo possibile amplificare ottimamente qualsiasi strumento, anche il più flebile, tuttavia per gli amatori è sicuramente una chitarra da collezionare. 😉
Una maccaferri con le corde in nylon?
Mario Maccaferri l’aveva già fatto a suo tempo (modello Concert).
Come chitarra classica non era un granchè, ma aveva un suono zingaro accattivante.
Ci sono ancora oggi liutai che propongono questi modelli.
Con una sola visita al Django festival a Samois sur Seine a giugno si possono trovare molti costruttori e alcune di queste chitarre.
Una buona occasione per vedere come suonano questi strumenti dal vivo e per godersi qualche giorno di musica veramente ottima.
Sono stato tentato più volte dall’acquisto di uno di questi modelli oggi sul mercato.
Ho studiato molto la Musica dei Manouche introiettando gli elementi tecnici meccanici nel mio linguaggio ottenendo così una sorta di stile ibrido.
Pe questo motivo ho sempre desistito dall’acquisto di una chitarra Gypsy.
Ho una chitarra di liuteria che mi feci costruire apposta,che è una via di mezzo tra una classica e una acustica.
Le corde sono in metallo e anche il capotasto e il ponticello sono costruiti in metallo.
Il suono è molto particolare e mi soddisfa abbastanza.
Ovviamente la mia tecnica è basata tutta sull’uso del plettro.
Adesso però vorrei trovare qualcosa di simile ma con le corde in Nylon.
Non avendo bisogno di grossa risonanza per via degli amplificatori, mi interessa un qualcosa si di simile al suono zingaro ma senza corde in metallo.
Puoi suggerirmi qualcosa?
Complimenti per l’articolo: è molto ben fatto.
La ricerca del suono potente è sempre stato un dilemma per i liutai.
E talvolta si acquista una forte proiezione ma a discapito della bellezza e qualità del suono.
Altri interessanti esperimenti sono stati quelli della chitarra in “fibra di carbonio” o l’inserimento di piombini all’interno della tavola armonica come nel caso di Garrone.
Ma in entrambi i casi il suono risulta sì potente ma con l’effetto di “pentolone”.
Le chitarre di Maccaferri sono ottime chitarre, dal suono potente e con un buon timbro.
Io personalmente preferisco le chitarre di Andrea Tacchi, ma è una questione di gusto e di genere musicale.
Credo che la chitarra non debba necessariamente essere “potente”.
Non suonerà mai come un pianoforte, né vuole riuscirci.
La ricerca dovrebbe essere più condotta sulla “qualità del suono”, più che sulla “quantità”: discorso che interessa non solo i liutai ma anche, e soprattutto i chitarristi.
Per il volume, al giorno d’oggi, esistono dei microfoni di ottima qualità che all’epoca di Maccaferri non esistevano, usati anche nei concerti di John Williams o di Manuel Barrueco, o usati semplicemente nelle loro registrazioni.